venerdì 17 febbraio 2012

connessioni tra parti del corpo e loro rappresentazioni cerebrali, tra un comportamento motorio e una procedura d'integrazione dell'informazione. Insomma, se gli esercizi favoriscono il ridispiegamento sinaptico e la riorganizzazione dei processi alterati, il fatto che si svolgano in situazione d'apprendimento, cioé in una situazione in cui le reti-supporto delle funzioni cerebrali sono completamente mobilizzate (accese, aperte, accessibili) facilita l'iscrizione nella memoria degli schemi motorii che il paziente sto imparando.
Seguendo un percorso pedagogico codificato, di difficoltà e complessità crescenti, gli esercizi sono guidati, all'inizio, dal terapeuta che chiede al malato di rilassare ogni contrazione volontaria e sostiene il membro ricettore, facendogli compiere[1] gli spostamenti necessari all'esplorazione delle superfici e dei contorni. Eppure non si tratta di esercizi “passivi”, dato che il soggetto deve consentire un grande sforzo di concentrazione, d'attenzione, di memoria. In seguito, rinunciando all'aiuto del terapeuta, il paziente riesce a fare i primi movimenti in modo autonomo.

Condividere un territorio, ignorandosi a vicenda.
Qualchessia il canale utilizzato per sollecitare le funzioni cerbrali e attivare i processi di plasticità, gli approcci cognitivi condividono l'obbiettivo (stimolare la plasticità neuronale), la procedura (sollecitare le funzioni cognitive, mettendo il soggetto in condizione d'apprendimento), la tecnica (confrontarlo a problemi la cui soluzione esige che si mobilizzino le funzioni cognitive).
In un lavoro che vorrebbe mettere in evidenza la differenza che separa l'approccio cognitivo dalle pratiche neuromuscolari e deve esprimersi in un linguaggio comprensibile per il "malato qualunque", sarebbe troppo complesso seguire l'evoluzione particolare delle metodiche che si sono sviluppate, al di là della linea di demarcazione che le separa dalle metodiche neuro-muscolari.
Non ci si può che rammaricare che ciascuna di esse abbia seguito la propria evoluzione e persegua il proprio sviluppo senza prestare attenzione al significato delle altre, senza analizzare le possibili convergenze o complementarità neurofisiologiche, senza affrontare il problema dei canali corporei (o parzialmente corporei) che permettono (o no) di entrare in contatto con le funzioni cerebrali, senza ricercare a quali andicap possano convenire.
L'istituzione d'una categoria che le accomuna, oltre ad assere un elemento d'apertura, darebbe, senz'altro più forza all'assieme di terapie che condividono l'ambito del paradigma cognitivo, redendo più credibile il loro messaggio divulgativo, evitando che possa essere interpretato come l'ennesima pubblicità par una scuola particolare. Senza contare che la loro indifferenza reciproca costituisce una difficoltà supplementare per il malato alla ricerca di soluzioni.

La volgarizzazione delle associazioni di malati.
Una constatazione, insomma, s'imponeva : il pessimismo rassegnato che ci era stato proposto alla diagnosi, era contraddetto dall'esistenza di diverse proposte terapeutiche, riferite a un paradigma, via via, consolidato dalle conquiste della neurofisiologia. Molte fonti autorevoli (Università, Istituti di Ricerca, tesi accademiche, libri, congressi, insegnamenti nei corsi di laurea del personale sanitario, pratiche professionali d'un certo numero di operatori, sia in privato che in istituzione) confermavano che la plasticità neuronale costituisce effettivamente una proprietà intrinseca del SNC che può esser stimolata deliberatamente e che l'attivazione delle facoltà cognitive del soggetto può permettergli di restaurare la circuiteria cerebrale, minimizzando i deficit di diversi tipi di lesione.
Ci si può domandare, allora, come mai, la letteratura di volgarizzazione pubblicata dalle associazioni di malati[2] che dedica tanto spazio ad ogni ipotesi genetica e faramacologica, ignori accuratamente l'approccio cognitivo della riabilitazione.
Infatti, oltre alle problematiche associative e socio-culturali, volte ad illustrare i diritti dei malati, a far conoscere la malattia, a rompere l'isolamento, oltre alle spiegazioni relative ai sintomi della malattia, alla sua evoluzione, alla questione dell'eredità genetica (riflesso evidente delle preoccupazioni familiari), questi bollettini dedicano l'essenziale dei loro spazi a render conto delle mille iniziative promosse dai malati per la raccolta di fondi, destinati alla "ricerca scientifica genetico-molecolare, biochimica ed immunologica" e a fornire informazioni sulle ipotesi e i tentativi della ricerca bio-medica, sulla scoperta di nuovi medicinali, sulla problematica genetica e farmacologica[3], nella speranza, a lungo termine, della guarigione[4].



[1] Gli esercizi guidati e sostenuti dal terapeuta servono, anche, a rilassare la spasticità e a frenare le contrazioni dei gruppi muscolari che non sono direttamente implicati (irradiazione).
[2] Tra cui, in Francia : Connaître les syndromes cérébelleux (CSC); Association Française de l'Ataxie de Friedreich (AFAF); Association Strümpell Lorrain PSH (ASL); Association de recherche ataxie-télangiectasie (APRAT); Association Française sclérose en plaques (SEP); in Italia : Associazione Italiana Atassie Congenite (AISJAC) e Associazione Italiana Sindromi Atassiche (AISA) che raggruppa l'assieme delle atassie. Dirette dai malati stessi, queste associazioni sono, generalmente, provviste di comitati scientifici composti da specialisti della neurologia e della genetica, in cui la presenza di riabilitatori è largamente minoritaria.
[3] Tant'é che malati e famiglie sono perfettamente informati sui meccanismi di mutazione di questo o quel gene, sulle anomalie dei mitocondri… sul modo in cui lo "Schizosaccharomyces pombe" riesce a mimare la sindrome d'una atassia spinocerebellare (SCAN1)… come pure sulle molecole testate in tutte le sperimentazioni cliniche nel mondo, e sui loro successi.
[4] "Al CSC, facciamo tutto quel che si può perché il sogno della guarigione diventi realtà".

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