venerdì 17 febbraio 2012

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Sentieri di riabilitazione cognitiva
Mai dire: "Non c'é nulla da fare"!

I saperi clinici, la Neurologia e la Medecina Riabilitativa,
continuano a utilizzare metodi superati, costosi e poco efficaci.
É una tragedia che rinchiude molti ammalati nel loro handicap.
                                                                  Paul BACH-Y-RITA

Benché completamente ignaro di cose mediche, ho dovuto interessarmi alle lesioni cerebrali a causa della malattia d'un fratello. Nel 1997, a 59 anni, ha avuto i primi disturbi nel camminare; il suo medico di base ha decretato che beveva di nascosto e l'ha spedito, più volte, a fare delle cure di disintossicazione, in una grande clinica, dove, senza chiedergli nulla, l'hanno curato per un male di cui non soffriva. Poi, nel 2005, una caduta in motorino con un ematoma cerebrale (risolto grazie a una chirurgia decompressiva), ha imposto degli esami neurologici approfonditi. Le immagini cerebrali, realizzate all'Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, hanno messo in evidenza un'atrofia del cervelletto, del tronco e del ponte encefalico; l'analisi genetica ha concluso diagnosticando una malattia neurodegenerativa rara (atassia spinocerebellare, autosomica dominante SCA1)... Immediatamente, la prima cosa che gli é stata detta, da subito, é che si trattava d'una malattia incurabile, che avrebbe reso sempre più difficile il controllo della muscolatura volontaria (mani, gambe, deglutizione, articolazione della parola e, perfino, respirazione) … e che, salvo qualche ricaduta della ricerca genetico-farmacologica, "non c'era nulla da fare", se non conservare la forza muscolare e le ampiezze articolari, facendo della riabilitazione fisica.

Nel 2009, i medici, neurogenetisti, che lo seguono mi hanno confermato l'inesistenza di misure terapeutiche, consigliandomi fermamente di "abituarlo" alla carrozzina a rotelle, in modo da evitare le cadute.
Mi é sembrato tanto più difficile accontentarmi di questo fatalismo rassegnato, che avevo appena visto, su ARTE TV[1], un documentario in cui certi specialisti d'avanguardia mostravano non solo che le aree cerebrali, molto meno rigidamente specializzate di quanto si credesse, costituiscono un sistema flessibile di zone interconnesse, capaci di sostituirsi l'un l'altra, ma anche che certi metodi di riabilitazione, riescono a sfruttare la neuroplasticità del Sistema Nervoso Centrale, per stimolare e guidare la riorganizzazione delle connessioni cerebrali, facendo appello alle facoltà cognitive del paziente e ottenendo il restauro (più o meno completo, più o meno definitivo) di certe funzioni.
Naturalmente, ho cercato di saperne di più su queste strategie riabilitatrici che si potrebbero definire "di riconquista", prima di tutto, per capire se fossero considerate terapeuticamente valide o meno.
In primo luogo, ho consultato le pubblicazioni e i siti delle associazioni di malati, trovandoli incomprensibilmente silenziosi su queste prospettive e sull'esistenza stessa dell'approccio cognitivo.
Ho tentato, allora, di rivolgermi agli specialisti della riabilitazione, sia medici che operatori sanitari che ho potuto identificare : a mia sorpresa (e lasciando da parte coloro che mi hanno messo in guardia contro "certe tecniche promosse a scopo lucrativo, senza validazione scientifica"), il mondo della clinica e della riabilitazione si é mostrato, nell'assieme, poco interessato dalle mie domande[2]. Molti non ne hanno mai sentito parlare; altri mi hanno risposto : "esercitando nel campo della Medicina Fisica di Riabilitazione, non conosco queste terapie", come se le proposte del documentario non facessero parte della MFR. In ogni modo, non ho trovato nessuno per confermare o invalidare quelle pratiche, né per discuterle, né per dirmi in quali handicap potrebbero rivelarsi utili.
La mia perplessità era rinforzata dalle testimonianze che mi venivano sia dal mondo della ricerca scentifica, che da quello dei fisioterapisti : "Basandomi sui miei lavori e sulle evidenze della letteratura scientifica e clinica, sono convinto che, nei suoi programmi di riabilitazione funzionale, la clinica sottovaluta le potenzialità della neuroplasticità cerebro-spinale" (Christian Xerri, direttore del Laboratoire de Neurosciences Intégratives et Adaptatives, Université de Provence). "Se la professione resta tanto indifferente a certi metodi e a certe pratiche, ciò dipende dal fatto che, quando é salariato, il terapeuta, sprovvisto di riconoscimento universitario, deve ubbidire ad un potere medico pesante, supremo e incontestabile... mentre, quando esercita in liberale, deve attenersi ad una nomenclatura degli atti che lo dissuade da investire nel sapere neurologico" (Serge Mésure, Presidente delle Journées Francophones de Kinésithérapie, 2011). "Medici e terapeuti preferiscono mantenere la patologia al livello dei muscoli e rifiutano di farla risalire al cervello… altrimenti, non avendo le competenze


[1] Mike Sheerin «Les étonnants pouvoirs de transformation du cerveau», tratto dal libro di Norman Doidge "Il cervello infinito" Ponte alle Grazie, 2007 che ritraccia i lavori dell'équipe «Tactile Communication & Neurorehabilitation Laboratory»  (TCNL, Université du Wisconsin-Madison) del Professor Paul Bach-y-Rita, di Barbara Arrowsmith Young, di Mike Merzenich, di Edouard Taub, di V.S. Rhamachandran e di Jordan Graffmann.
[2] http://gp29.net/?p=1669




necessarie, perderebbero la clientela, mentre i centri di rieducazione sarebbero costretti a ingaggiare degli specialisti" (Olivier Gorgy Psychomotricien, Docteur en Sciences du Mouvement).
"L'ambiente riabilitativo e la clinica sono poco inclini ad utilizzare queste procedure; infatti, le tassonomie classiche e gli elenchi di sintomi che i manuali delle scuole di Medicina offrono come chiavi di lettura dei fenomeni non spingono a valorizzare le afferenze, a studiare il controllo motorio, né a capire che la segnalazione sensoriale continua degli eventi della periferia é essenziale all'organizzazione centrale del movimento" (Dottor Piero Orsini, medico ospedaliero neurologo, che ha esercitato per molti anni al reparto di Neuroriabilitazione di Cisanello (Ospedale di Pisa).

Così, per esplorare le fonti d'informazione accessibili a un profano, mi sono addentrato nella giungla di Internet, con l'aiuto di qualche parola chiave (che Google trasformava immediatamente in sesamo apriti). Lungo il percorso, ho avuto modo di capire meglio l'articolazione tra movimento e attività cerebrali e di chiarire in che modo la riabilitazione possa incidere su patologie neurologiche che, pur essendo differenti, presentano, spesso, sintomi simili o vicini. Ho cercato di tradurre le informazioni raccolte in un linguaggio il più comprensibile possibile : quello che ho imparato potrebbe esser utile ad altri che, come me, sono alle prese con un "non c'é nulla da fare", di cui rifiutano d'accontentarsi.

L'esplorazione della scatola cranica : evoluzione scentifica, versus evoluzioni terapeutiche.
Fino a pochi anni fa, il cervello era considerato come una "scatola nera", pressoché impenetrabile e si pensava che le contrazioni muscolari non fossero che una concatenazione meccanica tra stimolo e risposta, riconducibile, sostanzialmente, al funzionamento dei centri spinali riflessi che costituiscono il livello più semplice d'organizzazione dei movimenti.
Dotati di poche sinapsi, questi circuiti nervosi[1] producono contrazioni, prima ancora che gli stimoli raggiungano le strutture cerebrali, innescando immediatamente reazioni inconscie o involontarie, riflessi automatici e stereotipati, programmati, una volta per tutte, a prescindere dalla situazione dell'individuo. Un dolore, una puntura, una scottatura evocano il riflesso flessorio e quello di ritrazione... una estensione muscolare rapida o, semplicemente, la forza di gravità suscitano la risposta invariabile del riflesso di stiramento. Però, i centri del midollo spinale che, normalmente, sono controllati e modulati da parte dei centri superiori, possono generare, anche, eccitazioni cicliche e sincronizzate e, nell'individuo sano, sono capaci di gestire automaticamente movimenti ripetitivi, ritmici e regolari di una certa difficoltà, come la deambulazione e la masticazione (salvo le fasi iniziali e terminali che restano sotto controllo cerebrale).

Subito dopo un trauma, mentre i centri nervosi dei livelli più complessi continuano ad essere inibiti, il ricupero spontaneo può riattivare i circuiti spinali che, grazie proprio alla loro semplicità, ritrovano, per primi, una funzionalità, facendo ricomparire schemi di movimento elementari che, però, non permettono una motilità elaborata.
Al di là dei processi spontanei, diverse procedure riabilitative si prefiggono l'obbiettivo del ricupero; tutte devono operare in situazioni in cui le strutture cerebrali sono impedite sia di modulare i centri di controllo inferiori, sia di svolgere un ruolo effettivo nella programmazione delle risposte motorie. Da un punto di vista neurofisiologico, queste procedure possono esser classificate secondo i livelli più o meno elevati d'organizzazione del SNC sui quali si propongono di agire e secondo i livelli più o meno elevati di ricupero che mirano ad ottenere.


Basandosi sul sapere ortopedico, sulla conoscenza degli schemi riflessi e su conoscenze elaborate prima della rivoluzione neurofisiologica, le tecniche neuromuscolari cercano di agire su circuiti periferici elementari, mettendo in gioco strategie sincroniche, tipo stimolo/risposta, a base di forze fisiche (pesi, stiramenti, stimolazioni...) che si ripetono da soggetto a soggetto. Sollecitando i livelli d'integrazione elementari del SNC, evocando risposte muscolari, determinate, misurabili, come la forza o la comparsa di contrazioni più o meno complesse, queste strategie programmano i movimenti grazie a strutture sprovviste sia della possibilità d'influire sui centri superiori, sia della capacità di imparare e di memorizzare.Il recupero compensatorio o comportamentale[2] ottenuto, rende relativamente autonomo il paziente, permettendogli di muoversi, ma gli consente strategie motorie poco evolute[3], legandolo a schemi di movimento





[1] Si tratta di circuiti con poche sinapsi, al livello di controllo dei centri del midollo spinale (come i riflessi antagonisti agli stiramenti), che gestiscono reazioni funzionali (stendere il braccio quando si cade … irrigidire la gamba che sostiene il peso …) e che possono permettere al soggetto comportamenti stereotipi, grazie a schemi motori i semplificati che, però, renderanno più difficile ristabilire movimenti corretti.
[2] Chiamato anche, funzionale o adattivo, perché trasferisce la funzione danneggiata, verso strutture risparmiate, utilizzando la loro capacità d'assolvere processi che, normalmente, non sono di loro pertinenza, pur continuando a svolgere le loro funzioni canoniche. Questo tipo di ricupero costituiva l'obbiettivo delle tecniche neuromuscolari affermatesi nell'immediato dopoguerra, che utilizzano stimoli sincronici semplici, per inibire o riattivare schemi motori riflessi, in modo di facilitare determinati movimenti o di prevenire danni da non uso.
[3] Con il braccio capace, solo, di spingere e di tirare, con la mano che segue traiettorie paraboliche per afferrare un oggetto, con la gamba utilizzata come un pilone che avanza il piede, sollevando l'anca e falciando…
prédefiniti, che limitano il suo rapporto con l'ambiente e, consolidandosi nel tempo, diventano difficili da modificare.
I risultati mediocri ottenuti con metodiche che cercano risposte immediate da parte del malato e agiscono sui livelli più semplici di controllo, avevano già suggerito (fin dalla fine degli anni '60) a coloro che ritenevano insufficiente di puntare su riflessi e sui rinforzi muscolari, che fosse possibile usare i flussi d'informazione provenienti dai ricettori del corpo (le afferenze) come canale d'accesso per incidere direttamente sui processi con cui il SNC trasforma gli stimoli in risposte motorie (processi cognitivi), in modo da riconquistare configurazioni muscolari volontarie più numerose, più complesse e meno delebili.

Le loro intuizioni empiriche sarebbero state, ben presto, confermate dalla rivoluzione neurofisiologica[1], imperniata sulla neurovisuoalizzazione, dalle nuove conoscenze sullo sviluppo funzionale del cervello, dalle ricerche su modelli animali e dall'osservazione clinica che, nel giro d'un ventennio, avrebbero rivoluzionato il sapere neurofisiologico, mettendo in crisi molti presupposti dell'immaginario neuro-anatomico classico.

Constatando che la contrazione d'un muscolo non é gestita, sempre, dalla stessa area, ma può dipendere da aree diverse, secondo lo scopo e dunque l'intenzione (la soggettività) del gesto[2], accertando che le aree corticali, pur svolgendo ruoli diversi, non operano mai da sole, né sono mai responsabili uniche di un determinato processo, si é dimostrato che la struttura cerebrale possiede una libertà di strutturazione e ristrutturazione ben più grande delle rappresentazioni comunemente accettate, non riconducibile a una qualunque topografia di tipo statico (l'homunculus) e che l'organizzazione del SNC é correlata al comportamento del soggetto, contraddicendo tanto l'immagine di aree cerebrali particolarmente localizzate e generatrici di comandi motori specifici, che quella di funzioni cerebrali come "entità", contenute, una volta per tutte, in strutture determinate.
Si doveva ammettere, insomma, che l'architettura cerebrale è costituita da un complesso mosaico largamente distribuito, dotato d'una gran ricchezza d'interconnessioni e d'una flessibilità incompatibile con qualsiasi schema predefinito e che, in questa architettura, le funzioni cerebrali (e specialmente le funzioni cognitive[3]) sono il frutto dell'interazione tra elementi non necessariamente contigui, concorrenti, di volta in volta, all'organizzazione d'una struttura funzionale.
Nello stesso tempo, si é verificato che la capacità dei neuroni indenni di "germogliare", ricostituendo un tessuto cicatriziale, atto ad assumere le funzioni dei neuroni scomparsi, persiste, anche in età adulta, in parecchie regioni, mostrando che la plasticità cerebrale[4] é una proprietà intrinseca che consente al SNC di modificare la propria strutturazione, in funzione dell’esperienza, elaborando nuove connessioni, nuovi circuiti, stabili nel tempo.
D'altro canto, evidenze cliniche e sperimentali mettevano in luce il ruolo essenziale dell'apprendimento, confermando l'importanza dei processi cognitivi nell'integrazione delle informazioni provenienti dal corpo e nella pianificazione delle sequenze motorie, sottolineando il contributo della soggettività degli attori alla strutturazione delle funzioni cerebrali. Anche se i suoi meccanismi non sono ancora sufficientemente chiariti, si costatava che la neuroplaticità é fortemente correlata alla mobilizzazione di facoltà intellettuali come la memoria e la percezione[5] e che il rimodellamento duraturo dei circuiti neuronali (sinaptogenesi) é favorito dagli stessi processi d'apprendimento[6] che permettono all'individuo sano d'acquisire nuove abilità, grazie alla mobilizzazione delle funzioni cognitive. Infatti, quando deve imparare, quando é di fronte a un problema, il soggetto sottopone le competenze precedentemente acquisite a un intenso lavorio di tentativi ed errori, sollecitando l'assieme delle strutture cerebrali e favorendo, così, l'elaborazione di nuovi itinerari e connessioni che si aggiungono ai circuiti di comunicazione già tracciati e memorizzati, utilizzati nei comportamenti di routine.



[1] Sotto la spinta crescente dei nuovi saperi neurofisiologici, anche le metodiche neuromuscolari faranno evolvere, soprattutto, il quadro delle loro considerazioni teoriche; ad esempio, a partire dal 12° meeting annuale IBITA (1996), la metodica Bobath integrerà i concetti d'informazione afferente, d'apprendimento e di neuroplasticità, nelle considerazioni che fondano le sue pratiche empiriche.
[2] Ad esempio, stimolare il polpastrello dell'indice con delle vibrazioni, provoca un'espansione dell'area cerébrale corrispondente, solo se il soggetto deve discriminare tra vibrazioni di frequenze diverse …Tendere l'indice per sfiorare un tessuto (presa d'informazioni tattili), piuttosto che per impadronirsene (informazioni spaziali e chinestesiche), mette in tensione aree cerebrali diverse. Insomma, uno stesso gesto della mano informerà un'area corticale controllata da afferenze sensoriali-tattili, piuttosto che un'area controllata da afferenze muscolari-articolari, secondo le finalità della programmazione e secondo le diverse funzioni che la mano sta assolvendo.
[3] Attenzione, memoria, intelligenza, rappresentazione, percezione, immaginazione, intenzionalità, affettività, capacità di giudizio, autoregolazione, scelta d'un obiettivo, elaborazione di concetti, organizzazione, pianificazione, emozione, linguaggio …
[4] La neuroscienza ha ammesso solo di recente la rigenerazione dei neuroni in età adulta, malgrado i seri indizi che suggerivano la sua esistenza, fin dagli anni 1960. La capacità di neuroni ancor funzionali di moltiplicare le ramificazioni, producendo dendriti e germogli, riscontrata dapprima, nell'ippocampo, é stata osservata anche in molte altre regioni (corteccia cerebrale, cervelletto, striato...).
[5] Facoltà d'organizzare e d'interpretare le proprie sensazioni, integrandovi immagini e ricordi, in modo da poter giudicare un oggetto o una situazione.
[6] Si tratta degli stessi processi intellettuali d'acquisizione progressiva (l'apprendimento) di nuove abilità messi in opera, da ogni individuo, fin dalla fase fetale per affrontare la sfida quotidiana di dare un senso al mondo. Sono proprio questi processi che permettono la strutturazione cerebrale, intimamente legata alle caratteristiche, più o meno ricche, più o meno stimolanti del contesto.
I nuovi saperi[1] permettono di capire che i flussi d'informazioni provenienti dal corpo e dall'ambiente sono altrettanto importanti che gli impulsi motori, confermando l'importanza della funzione ricettoriale del corpo, collettore delle informazioni utilizzate dal SNC per elaborare una rappresentazione percettiva affidabile della situazione e della posizione d'ogni arto, aggiornandola, man mano che intervengono i movimenti[2]. Prima d'esser considerati come organi di moto, fusi muscolari, tendini, capsule articolari, legamenti, devono essere trattati come organi di senso, deputati a trasmettere, in permanenza, un flusso continuo d'informazioni relative alla spazialità, alla temporalità e all'intensità dei movimenti, alle strutture cerebrali che le trasformano, le interpretano, le integrano con le informazioni visive e uditive, assegnando ai diversi livelli sensitivi di provenienza, un peso specifico variabile, in funzione dell'azione da compiere, in funzione, cioè, delle intenzioni del soggetto.
Qualora un trauma impedisca di percepire correttamente la posizione e i movimenti degli arti e del corpo[3], la corteccia cerebrale non sarebbe più in grado di conoscere né il punto di partenza d'un movimento, né il "valore zero" della forza necessaria... Gli impulsi motori diverrebbero imprecisi, incerti o addirittura, sbagliati; il soggetto sarebbe costretto, prima d'agire, a procedere ad una ricognizione visiva volontaria, diminuendo la propria rapidità di reazione, compromettendo gravemente il controllo spontaneo dei movimenti, rendendo difficili o impossibili le attività simultanee.

Anche la rappresentazione del ruolo del cervelletto é stata profondamente modificata, mostrando che, contrariamente a quanto si é creduto a lungo (e si ripete ancora sovente[4]), questa struttura svolge anche funzioni sensoriali autonome, interviene nella regolazione delle funzioni cognitive superiori (attenzione, linguaggio, produzione verbale, conoscenza, percezione, soluzione dei problemi) e che, nelle situazioni d'apprendimento[5], provvede ad emettere i segnali d'attivazione (accensione) delle reti funzionali che permettono di iscrivere nella memoria gli schemi motorii acquisiti, rendendoli permanenti.

Emerge, così, una rappresentazione integrata del SNC, dove gli elementi "mentali" hanno un ruolo altrettanto importante che gli elementi "fisici", dove le reti che supportano le funzioni cognitive[6] si strutturano, di volta in volta, grazie ad interazioni dinamiche tra strutture corticali e sottocorticali (cervelletto compreso). Il SNC appare ormai come un ciclo, aperto dall'assunzione d'informazioni nell'ambiente esterno, da parte dei segmenti corporei e richiuso, sempre nell'ambiente esterno, grazie alle loro azioni. La divisione accademica[7] tra cervello che riflette (funzioni corticali superiori, ovvero processi cognitivi), di competenza della neuropsicologia, e cervello che agisce (movimento) oggetto della riabilitazione neuromotrice è superata.
Ogni terapia é, simultaneamente, neuro e psico motoria.

Un rimaneggiamento tanto profondo dei presupposti classici permetteva di pensare l'alterazione del movimento come disorganizzazione d'una architettura complessa, costituita dalla messa in rete, sotto il controllo delle "funzioni cognitive", di strutture situate a vari livelli del SNC, configurate, di volta in volta, secondo lo scopo dell'azione.



[1] Tra gli anni '80, e 2000, si ha capito che la contrazione d'un muscolo é frutto dell' "idea di movimento", elaborata a livello cerebrale... che, per mettere in moto la plasticità neuronale, l'attività muscolare deve avvenire in situazione d'apprendimento e che un rimodellamento permanente, può esser indotto da un trattamento riabilitativo.
[2] L'interesse che gli approcci cognitivi attribuiscono alle informazioni provenienti dal corpo e alla loro integrazione cerebrale, riflette l'importanza del sistema di feed-back; infatti, già nelle fasi embrionale, fetale e della prima infanzia, le abilità motorie si costituiscono grazie a queste informazioni. Si noti, d'altra parte, che la quantità di fibre nervose sensitive presenti in un nervo supera di gran lunga quella delle fibre motorie... e che, nel cervelletto, struttura con la più alta densità di neuroni di tutto il SNC, estremamente ricco di connessioni con tutte le maggiori strutture cerebrali, la densità di fibre afferenti è 40 volte più alta che quella delle fibre efferenti.
[3] Alzarsi da una sedia implica che si disponga d'informazioni sull'appoggio dei glutei, la posizione dei piedi, il bilanciamento del corpo.
[4] Ad esempio, l'Associazione CSC (Conoscere le Sindromi Cerebellari) descrive il cervelletto come l'organo che "controlla l’equilibrio, coordina il tono posturale ed i movimenti volontari" (capitolo "Les Maladies" del Livret d'Accueil). Quanto alle sindromi cerebellari, sono "caratterizzate essenzialmente da disturbi della coordinazione dei movimenti volontari e dell’equilibrio : il gesto, mal realizzato, fallisce lo scopo". Questa rappresentazione é condivisa dall'AISA (Associazione Italiana Sindromi Atassiche) che descrive il cervelletto come centro della coordinazione dei movimenti muscolari che elabora gli impulsi portati ai muscoli dal midollo spinale (Che cos'è l'atassia e Sindromi atassiche).
[5] L'attività del cervelletto è particolarmente intensa durante la fase d'apprendimento, davanti a compiti non automatici, quando il soggetto non ha ancora corretto errori, né elaborato regole. L'attività resta elevata nella zona dove é conservato il modello interno del compito appreso.
[6] Ad esempio, per capire una parola bisogna che l'acquisizione sensoriale (visiva o uditiva) da parte delle funzioni semplici (o primarie, come l’attenzione), sia corretta. A partire da queste informazioni di base, le funzioni cognitive superiori o secondarie elaborano il linguaggio.
[7] Il paradigma neurocognitivo contraddice l'ordinamento accademico che istituzionalizza una distinzione (rigida, poiché disciplinare, e quindi, corporatista) tra i fattori che riguardano l'elaborazione del movimento (percezione, intelligenza, memoria), attribuiti alla neuropsicologia, e quelli che riguardano il movimento, assegnati alle discipline neuromotorie. Lasciando anche da parte il fatto che questa rappresentazione lascia "in bianco" quanto concerne la fase ricettrice dell'informazione (il corpo, intero come superficie ricettoriale), essa sbocca sul risultato che delle patologie come l'atassia cerebellare, la paralisi cerebrale infantile, il parkinson, l'emiplegia sono seguite da un neuromotricista, senza far caso dei problemi relativi alle funzioni corticali superiori, affidati –eventualmente- allo specialista della psicomotricità.
Questa nuova rappresentazione indica un sentiero terapeutico inedito : dando accesso alle funzioni cognitive, le situazioni d'apprendimento permettono di stimolare consapevolmente la plasticità neuronale, di andare al di là del ricupero comportamentale legato agli schemi motorii a controllo spinale. Anche se a costo di terapie più lunghe[1], diventa possibile adottare l'obbiettivo d'un riarrangiamento strutturale o intrinseco dell'intera catena cinetica, riconducendo la programmazione delle sequenze motorie complesse, sotto il controllo delle funzioni superiori. Malgrado la grande distanza che separa le pratiche terapeutiche dal sapere neurofisiologico, l'accumularsi delle conoscenze sulla complessità dei processi cerebrali, sulla plasticità dinamica del SNC e sull'implicazione del cervelletto nell'attività cognitiva, non farà che confermare la pertinenza dei nuovi metodi riabilitativi nelle patologie che coinvolgono la capacità di muoversi e relazionarsi con l'ambiente.

Nuovi approcci, nuovi canali.
Distaccandosi dalle metodiche neuromuscolari che ripristinano una motilità elementare, allenando singole componenti del movimento (rimettere in funzione questo o quel muscolo, questo o quel riflesso), certi operatori capovolgono le polarità del campo disciplinare, puntando direttamente sulla mobilizzazione dei processi cognitivi che pianificano le sequenze motorie. Tuttavia, se muscoli e riflessi possono essere manipolati manualmente, le reti supporto delle funzioni cognitive[2], indispensabili per inscrivere nella memoria le sequenze motorie acquisite, diventano accessibili[3] (si attivano…. sono eccitate) solo nelle situazioni d'apprendimento e possono esser mobilizzate solo attraverso esercizi che traducano fedelmente la realtà dei processi neurofisiologici.

Le tecniche che permettono di mobilizzare deliberatamente le facoltà psichiche più elevate del paziente consistono, appunto, a far vivere al soggetto delle "situazioni d'apprendimento" specifiche, in modo da spingerlo a mobilizzare le funzioni cerebrali che siano in un rapporto preciso con le abilità compromesse. La cosa é molto diversa dalle semplici esortazioni a "prender coscienza dei propri gesti, dei movimenti... ad ascoltare il proprio corpo... a percepire le sensazioni" che sono, tradizionalmente, propinate a pazienti anche quando siano menomati da handicap che compromettono, appunto,  la sensibilità e l'intenzionalità.
La situazione d'apprendimento va molto più lontano, esercitando sul paziente una coercizione "senza scampo" (salvo, và da sé, interrompere la terapia). Infatti, il soggetto non può evitare di interrogarsi sulla natura, degli stimoli tattili, pressori, cinestesici, visivi e, perfino (come vedremo) elettrici, che le strutture sensitive del corpo continuano a fare affluire al cervello, non può sottrarsi alla necessità d'attribuir loro un senso, attivando, così, le reti cerebrali, supporto delle funzioni cognitive, sollecitando la plasticita neuronale e favorendo la riorganizzazione delle connession tra i segmenti corporei e le rappresentazioni corticali.

In quest'ottica, l'attività motoria cessa d'essere un fine in sé : la contrazione muscolare avrà proprietà terapeutiche a livello cognitivo, qualora diventi il veicolo di stimoli  che rivestono un'importanza particolare per i processi cerebrali, qualora sia il mezzo d'acquisire informazioni necessarie a risolvere un problema, il canale per accedere alle funzioni cerebrali superiori, restaurando le capacità informative del soggetto, riconquistando dei movimenti variabili e adattabili, iscrivendo nella memoria gli schemi motorii ricuperati, ottenendo, così, per quanto possibile, un "recupero intrinseco"[4].
Ridispiegamento sinaptico e riprogrammazione neuromotoria non sono più una ricaduta eventuale, un beneficio collaterale, che si potrà constatare a posteriori: diventano l'obbiettivo esplicitamente dichiarato delle pratiche riabilitatrici d'indirizzo cognitivo. L'orientamento terapeutico é rovesciato : l'apparato muscolare non é più il traguardo, ma il tramite che permette di sollecitare, attraverso la realizzazione di compiti complessi, l'assieme delle strutture cerebrali, substrato delle funzioni cognitive di diverso livello e complessità.

I diversi metodi che puntano direttamente a indurre cambiamenti funzionali/strutturali nel SNC, restaurando i collegamenti tra i segmenti corporei e i circuiti cerebrali del controllo motorio, possono seguire strade diverse e sollecitare le funzioni cognitive, attraverso diverse strutture corporee. Così, il metodo Perfetti utilizza il canale



[1] Il tempo dedicato al paziente dalle strutture riabilitative è condizionato da logiche di risparmio aziendale che ostacolano le metodiche cognitive, favorendo tecniche di ricupero più rapide. É vero che dare la priorità allo sforzo muscolare, piuttosto che ai processi cerebrali, permette anche di utilizzare personale meno specializzato. D'altra parte, il taglio dei testi pubblicitari che accompagnano l'abbondantissima offerta terapeutica disponibile su internet lascia l'impressione che l'investimento sanitario, più che sulla "qualità del movimento", porta, attualmente, su soluzioni ben più pragmatiche, comunque sufficenti, a una certa autonomia personale.
[2] Come si é visto, una funzione mentale specifica non é mai localizzata in una singole area cerebrale, ma ne coinvolge diverse altre, collegate da reti a configurazione dinamica.
[3] Nelle situazioni d'apprendimento, é il cervelletto, profondamente integrato alle altre strutture cerebrali da numerosissime connessioni bidirezionali, che provvede a lanciare gli output d'accensione delle reti supporto interessate. La sua attività é particolarmente importante durante la fase in cui il soggetto, di fronte a una situazione inedita e a compiti non automatici, non ha ancora corretto errori, né elaborato regole. Dopo questa fase, l'attività resta importante solo nelle regioni in cui sono stoccate i modelli delle esquenze acquisite.
[4] Recupero funzionale (o compensatorio, o comportamentale) e recupero strutturale (o intrinseco) si intersecano spesso e possono intervenire simultaneamente, tanto più che, nella loro pratica giornaliera, molti terapeuti utilizzano le tecniche neuromuscolari e neurocognitive, come approcci complementari.
delle afferenze somestesiche dei vari segmenti del corpo, al di fuori della vista... al contrario il metodo Gilles utilizza il canale visivo per provocare una ginnastica linguale-labiale-vocale-respiratoria- attraverso la lettura ad alta voce, mentre i sensori dei dispositivi messi a punto da Bach-y-Rita trasmettono al cervello stimoli artificiali, attraverso la lingua (o la pelle).

I dispositivi artificiali di supplenza percettiva. (Paul Bach-y-Rita)
Nei primi anni 1960, quando l'idea della "plasticità neuronale" é ancora considerata un'eresia, Paul Bach-y-Rita, (ricercatore al Visual Sciences Institut Smith-Kettlewell di San Francisco), ne adotta il principio e, convinto che  "vediamo non con gli occhi, ma con il cervello" comincia a mettere a punto un dispositivo di sostituzione visuo-tattile per i ciechi (il SSVT : sistema de sostituzione visuo-tattile) che, nel 1969, dimostra l'interesse della supplenza sensoriale e fornisce una prova sperimentale della plasticité sinaptica. Nel decennio successivo Bach-y-Rita elabora diversi dispositivi, provvisti di vari tipi di sensori (accelerometri, giroscopi, inseriti in un casco, in un dispositivo intra-orale (IOD)… camera video integrata negli occhiali… rilevatori di pressione sul seggio d'una sedia a rotelle o nella suoletta d'una protesi di gamba artificiale…), che registrano le informazioni contenute nella luce o misurano la posizione della testa o i movimenti del corpo, ne assicurano la trasduzione in impulsi elettrici, trasmessi al soggetto, via una matrice di centinaia di elettrodi, piazzata sulla pelle del dorso, del ventre, sulla fronte, o sulla lingua (dove i ricettori sono particolarmente numerosi).
Normalizzando le vie sensoriali e correggendo le "dispercezioni", la supplenza elettrotattile favorisce la riorganizzazione cerebrale, permettendo al cervello di produrre nuovamente prestazioni coerenti ed é particolarmente utile quando l'acquisizione d'informazioni sulla posizione del corpo o sul mondo esterno é compromessa da lesioni periferiche (traumatismi, interventi chirurgici, processi degenerativi), quando i canali ricettivi disfunzionano, oppure quando la loro integrazione é compromessa da lesioni cerebrali.
La supplenza può intervenire in diversi modi : ad esempio, segnalare a un paraplegico la necessità di cambiar posizione per evitare le piaghe da decubito, sopperire alla degradazione della propriocettività della caviglia, o del piede (in caso di neuropatia diabetica periferica), sostituire la kinestesia nell'amputazione unilaterale d'un membro inferiore, facilitare il ricupero dell'equilibrio nelle lesioni vestibolari, compensare (parzialmente) l'insufficienza visiva  nei casi di cecità congenita o acquisita[1].
La supplenza elettrotattile  é stata catalogata troppo in fretta tra le pratiche generiche di stimolo sensoriale [2]; comunque la si consideri, resta il fatto che i suoi segnali artificiali devono esser interpretati attraverso un processo d'apprendimento che mobilizza intensamente le funzioni cognitive, che stimola la plasticità neuronale, favorendo la riorganizzazione dei circuiti sinaptici.
Si considerino, ad esempio, i segnali emessi dalla soletta d'una protesi di gamba : prodotti fuori dal corpo, da un dispositivo artificiale, questi impulsi, invece di risalire per il canale "canonico" del midollo spinale, arrivano al tronco cerebrale seguendo un percorso (lingua, nervo linguale, trigemino…) completamente estraneo alle vie nervose deputate al trasporto di questo genere d'informazioni; arrivano, insomma, come messaggi sprovvisti tanto d'indicazione d'origine o identità, che d'indirizzo di destinazione. Eppure, invece d'ignorarli, il cervello riesce ad interpretarli e a determinare che quell'impulso elettrico costituisce un segnale kinestesico, che contiene informazioni sul peso e sull'appoggio di uno dei due lati del corpo, destinate ad esser trattate dall'area sensitiva del piede e dalle aree motorie della caviglia e delle dita del piede corrispondente.
Una performance ermeneutica simile non é immediatamente disponibile, ma dev'essere costruita attraverso una fase di training, in cui il soggetto impara a decifrare e a manipolare le corrispondenze che collegano la posizione degli stimoli elettrici sulla lingua, alla situazione dei muscoli del proprio corpo[3].
I periodi di training si succedono per parecchi giorni, o per qualche mese, con durate che dipendono dalla resistenza del soggetto; dopo ogni seduta il paziente riesce a controllare l'attività muscolare sempre più a



[1] Il primo sistema di sostituzione visio-tattile (TVSS) messo a punto da Paul Bach-y-Rita, nel 1969, é considerato, spesso, come la prima prova sperimentale dell'efficacia della supplenza ricettiva e della plasticità sinaptica. Nelle prime versioni gli elettrodi erano messi in contatto con la schiena del soggetto; poi il dispositivo si é evoluto nell'élettrofeedback linguale (TDU : Tongue Dispay Unit) che Bach-y-Rita ha elaborato al "Tactile Communication & Neurorehabilitation Laboratory" (TCNL, Université del Wisconsin-Madison). L'attuale versione portatile permette a un cieco di nascita non già di "vedere" (dato che non si tratta di visione, nel vero senso della parola), ma di percepire, attraverso la lingua e di percorrere, ad esempio, senza aiuti esterni, un itinerario particolarmente labirintico. In Francia la TDU é sperimentata al CNAM, dall'équipe di Eliana Sampajo (già collaboratrice di Bach-y-Rita al TCNL). D'altra parte, il laboratorio TIMC-IMAG di Grenoble (in collaborazione con il TCNL) ha brevettato e sottoposto a validazione clinica diversi dispositivi d'elettrofeedback che utilizzano la supplenza percettiva, specificamente per prevenire le piaghe da decubito dei feriti al midollo spinale… per migliorare il controllo posturale e l'equilibrio degli anziani, o di persone che soffrono d'alterazioni del sistema sensori-motorio (ad esempio, amputati d'un membro inferiore, affetti da lesioni vestibolari, emiplegici…). Uno di questi dispositivi, commercializzato, negli USA, da Wicab Inc. (società fondata da Bach-y-Rita), con il nome di Brain Port (distribuito, in Italia, da Khymeia S.r.l., che dà la lista d'una decina di centri medici o paramedici dove i malati-pazienti-utilizzatori possono seguire il training), é stato espertizzato, nella riabilitazione vestibolare, dall'Unità ORL dell'Ospedale di Forlì, mentre la Clinica Neurologia dell’Università di Ferrara lo utilizza con pazienti affetti da SLA.
[2] Anche nei casi in cui il biofeedback é utilizzato in modo molto simile a un semplice segnale d'allarme, gli elettrodi piazzati sulla lingua forniscono dei segnali che il soggetto può interpretare solo mobilizzando le funzioni cognitive superiori.
[3] Concretamente, il soggetto deve imparare a mantenere il segnale elettrico al centro della lingua (oppure, al centro dello schermo della videocamera), facendo agire i propri muscoli, in modo da ritrovare una postura corretta.
lungo, fino al ricupero completo. In altre parole, l'interpretazione e l'utilizzazione dei segnali é resa possibile solo da una mobilizzazione intensa, generale e continua delle funzioni cerebrali superiori (memoria, interpretazione, rappresentazione, emozione, percezione…). Durante questi periodi, gli scambi d'informazioni intracerebrali accertano la provenienza e la destinazione di questo tipo di stimoli, li integrano con altre afferenze, traducendoli in percezioni che l'area motoria utilizza per pianificare la sequenza muscolare. Sarebbe difficile dare una definizione più esatta di quelle situazioni d'apprendimento e di ricerca d'una soluzione ad un problema[1], che le diverse tecniche di riabilitazione cognitiva considerano necessarie per stimolare i processi di plasticità neuronale, per innescare la riconfigurazione delle reti sinaptiche, riconducendo la programmazione motoria sotto il controllo dei centri superiori.

La ginnastica oro-facciale d'Olivier Nicolas Gilles
Le tecniche elaborate da O.N. Gilles, ortofonista specializzato nella rieducazione cognitiva, mirano, anch'esse, a favorire la plasticità neuronale, installando il paziente in situazione d'apprendimento e chiedendogli di risolvere dei problemi, fuori da ogni routine, che lo spingono a mobilizzare le funzioni superiori, in modo da stimolare la riconfigurazione dei circuiti cerebrali e delle connessioni funzionali.


Utilizzando come porta d'ingresso, gli occhi, attraverso la lettura[2] ad alta voce, questo metodo mira a restaurare i collegamenti tra gli articolatori della parola (organi motori orofacciali : labbra, lingua, corde vocali, velo palatino, deglutizione, respirazione, movimenti oculari saccadici[3]…) e le regioni cerebrali di programmazione e di controllo.
La lettura ad alta voce é un'attività lineare che ben si presta a mantenere il soggetto in condizione d'apprendimento, spingendolo ad attivare le funzioni cerebrali superiori per risolvere dei problemi, stimolando, così, la plasticità neuronale.
Grazie a qualsiasi programma informatico d'elaborazione di testi, si può modificare molto facilmente[4] qualsiasi articolo di rivista, o pagina di libro, per trasformarla in un percorso disseminato d'ostacoli e di pause, in modo che diventi il supporto d'un numero praticamente infinito d'esercizi, la cui enunciazione ad alta voce potrà essere sottoposta ad ogni sorta di consegne mutevoli che impongano incessanti variazioni di ritmo. D'altra parte, esigendo che attività diverse siano svolte nello stesso tempo[5], gli esercizi fanno sperimentare al soggetto gli effetti d'accoppiamento e disaccopiamento delle attività, secondo opzioni continuamente variabili.
Così, quest'unica attività di lettura-dizione-calcolo mentale obbliga il soggetto a mobilizzare la memoria di lavoro per ricomporre le parole, dissociando o fusionando le lettere e ad attualizzare le conoscenze ortografiche, grammaticali e sintattiche per ricostruire la struttura delle frasi. Esigendo una vera e propria ginnastica linguale e vocale, gli esercizi fanno intervenire, nello stesso tempo, una larga costellazione di meccanismi inerenti alla scrittura, alla dizione, alla fonazione (gestione minuta degli articolatori della parola, dei muscoli addominali e toracici della respirazione), alla deglutizione, al controllo dei movimenti oculari saccadici, alla sincronizzazione tra decifrazione/enunciazione/respirazione, all'appropriazione significante delle frasi, all’intelligibilità e all’informatività del discorso, mettendo in tensione l'assieme delle strutture



[1] L'intensa attività cerebrale che si osserva in queste situazioni é simile a quella che accompagna la maturazione delle modalità sensoriali del bambino che deve subire un lungo processo d'apprendimento sensori motorio per capire in che modo un nome e un oggetto si collegano l'uno all'altro, rinviando anche a caratteristiche di qualità, di forma, peso, colore, gusto…
[2] Anche la semplice lettura mentale (riconoscere la forma delle lettere, la loro orientazione nello spazio, la loro corrispondenza sonora, raggrupparle per costituire delle parole, identificarne il significato, integrarle in assiemi vieppiù complessi sul piano semantico e grammaticale) costituisce un processo di gran complessità che utilizza intensamente le capacità cognitive, che mette in tensione molte formazioni corticali e sottocorticali, che esige la memorizzazione delle coordinate spaziali delle parole, implica numerose operazioni d'analisi, di sintesi, di confronto con informazioni memorizzate, tanto sul piano morfologico che sonoro. Per giunta, la lettura ad alta voce
mobilizza, a sua volta, altre strutture… senza dimenticare che gli esercizi possono anche comportare esigenze di riconoscimento di quantità, di immagini, di colori…
[3] I movimenti saccadici servono a fissare sul bersaglio la parte più discriminante della retina (centro della macula), in modo da estrarre il massimo d'informazioni dalle forme scritte. Si tratta di un fenomeno d'estrema complessità, sul piano neurologico, organizzato dalla sinergia tra numerosi circuiti e regioni cerebrali (cortecce frontali, occipitali, tronco, talamo, gangli della base, cervelletto…).
[4] Ad esempio : eliminare tutti gli spazi tra le parole; introdurre spazi arbitrari; sostituire, aleatoriamente, certe lettere ad altre, secondo criteri ortofonicamente significativi; raddoppiare, triplicare, quadruplicare, sempre in modo aleatorio, certe parole o certi gruppi di parole che dovranno esser letti con o senza le parole supplementari; stampare il testo su fogli diversi (oppure farlo apparire su display successivi) con le tre prime parole sulla prima pagina (o display), le sei parole successive sulla seconda pagina, le due parole successive sulla terza, eccetera, facendo succedersi le pagine a velocità costante, o variabile, regolare o irregolare, richiedendo di enunciare il testo per frasi intere. Altre consegne di lettura possono integrare il calcolo mentale, richiedendo di correggere i suoni trasformati tenendo il conto del loro numero, oppure imporre di leggere il testo raggruppando le parole due a due, tre a tre, quattro a quattro, eccetera, oppure secondo consegne numeriche variabili, oppure raggruppando le parole ad libitum, purché, alla fine di ogni frase, si enunci il numero di gruppi costituiti. É anche possibile superare lo stadio dell'appropriazione d'un materiale verbale prodotto da altri (lettura d'un testo), richiedendo al soggetto di costruire un racconto a partire d'un supporto d'immagini,in modo da mobilizzare ancor più profondamente le zone frontali e le regioni sottocorticali. Anche l'enunciazione del racconto può esser sottoposta a consegne che integrino il calcolo mentale.
[5] Ad esempio : copiare una frase compitandola nello stesso tempo; scrivere una parola, mentre la si compita; compitare ogni parola e poi scriverla... tenendo il conto mentale del numero di verbi o del numero di parole …
cerebello-frontali.
Questo stesso approccio, in cui delle attività "problematiche" (o d'apprendimento) sono condotte talvolta assieme, talvolta separatamente, pur integrando il calcolo mentale, può adattarsi ad altre funzioni fisiologiche e alla motricità generale di cui si occupano psicomotricisti e kinesiterapisti.

La "riabilitazione cognitiva" di Carlo Perfetti.
Benché nel decennio’70, la neurofisiologia sostenesse, ancora, che le afferenze tattili non hanno valore informativo per il SNC e che il tatto non contribuisce alla programmazione del movimento, benché le rieducazioni neuromotorie continuassero a disinteressarsi della motilità della mano, sconsigliando, perfino, d'occuparsene, vista la difficoltà ad ottenere risultati significativi, alcuni terapeuti, e in particolare Carlo Perfetti, cominciavano a utilizzare il canale delle afferenze tattili, fuori dal controllo visivo, onde restaurare le connessioni tra segmenti di membra e circuiti cerebrali, attribuendo alla mano, organo, simultaneamente, di movimento e di senso (tatto), un ruolo importante.
La neurovisuoalizzazione avrebbe progressivamente confermato l'importanza della mano e del tatto nella programmazione della sequenza muscolare, mostrando che l'area motrice primaria (che non é controllata dagli occhi) riceve, direttamente, non solo informazioni articolari e muscolari, ma anche informazioni tattili, provenienti dalla pelle degli arti[1].
La relazione diretta tra ricettori tattili e di movimento e corteccia motoria, spiega perché, senza un dialogo efficace tra corpo e ambiente, il soggetto non sarà in grado di ottenere una motricità sofisticata e dovrà utilizzare movimenti di tipo compensatorio, stereotipati, imprecisi o incerti. Infatti, qualora una lesione comprometta la ricettività e l'integrazione delle informazioni tattili, pressorie e di movimento degli arti, il soggetto sarà privato degli input di cui dovrebbe disporre in permanenza. Mancando queste informazioni, diventa impossibile organizzare quei movimenti, anche inconsci o involontari, indispensabili per l'agilità, la scioltezza e la spontaneità dei gesti che, abitualmente, si compiono senza bisogno né d'una decisione, né d'informazioni visive o uditive : adattabilità, fluidità, rapidità del moto ne sono gravemente diminuite, come pure la capacità di compiere attività globali.

Proclamando che "il cervello non contiene muscoli" e che, per pianificare correttamente un movimento, le aree motorie devono disporre tanto d'informazioni muscolari, articolari, tendinee, che d'afferenze tattili (della mano e del rivestimento corporeo[2]), Perfetti elabora una delle prime forme di riabilitazione  basate sulle scoperte della neurofisiologia e su una concezione moderna dell'organizzazione del movimento, in cui gli esercizi di riabilitazione tendono a ridare al paziente la possibilità di costruire rappresentazioni mentali a partire da informazioni raccolte dal corpo, esplorando l'ambiente. Rivolto, all'inizio, all'emiplegia, il ventaglio degli esercizi terapeutici si allarga e si differenzia per trattare pazienti colpiti da altre lesioni cerebrali o/e cerebellari.
Il paziente é posto in condizioni d'apprendimento, grazie ad esperienze sensitive che gli pongono dei problemi di riconoscimento di forme, strutture, contorni, curve, lunghezze, spessori, altezze, larghezze, diametri, orientazioni, pesi, densità, pressioni, sfioramenti, traiettorie… che devono esser risolti raccogliendo informazioni, non già con gli occhi, ma con i diversi segmenti del corpo (polpastrello, palmo, mano, piede…) utilizzato come una vasta superficie ricettrice articolata.
Benché nella nostra cultura la vista rappresenti il senso dominante, le informazioni che essa trasmette alla corteccia visiva non bastano a organizzare movimenti raffinati.
Oltre a modificare la mappa delle rappresentazioni sensoriali, inducendo un potenziamento delle capacità percettive degli stimoli tattili, cinestesici, pressori... l'esclusione della vista permette di sollecitare specificamente i collegamenti tra i ricettori dei vari segmenti del corpo e le aree della corteccia motoria ai quali sono direttamente collegati, in modo da restaurarne la funzionalità. Inoltre, chiudere gli occhi permette anche di evitare che, durante il periodo della terapia, le informazioni visive favoriscano l'elaborazione di compensazioni[3], facendo uso di schemi motorii semplificati, disponibili immediatamente, mentre le abilità più elaborate sono, ancora, in via di ricostituzione.
Durante gli esercizi, il paziente deve riconoscere forme, consistenze, posizioni, con il solo aiuto dei propri gesti. Raccogliendo informazioni sul contesto, attraverso i segmenti del corpo, deve decifrare e interpretare gli stimoli motorii, pressorii, tattili. In questa esplorazione alla cieca, interrogandosi sul significato delle sensazioni, il soggetto sollecita tanto le rappresentazioni corticali dei segmenti corporei, quanto gli schemi motorii già acquisiti, re-articolandoli, progressivamente, con i movimenti delle membra. I gesti compiuti per risolvere un un problema, contribuiscono al restauro delle sequenze motorie lese, sostituendo i circuiti interrotti, ricostruendo le
 

[1] Normalmente, il SNC gestisce le informazioni visive, uditive e somestesiche, che affluiscono in continuazione, combinandole, dinamicamente, in relazioni variabili, secondo l'azione intrapresa.
[2] Diversamente dagli altri sensi, la superficie ricettiva del tatto coincide con tutta la superficie del corpo.
[3] La neurovisuoalizzazione mette in evidenza che nella fase post traumatica, i processi di recupero spontaneo corrispondono a una netta espansione delle aree visive del lobo occipitale, mostrando l'importanza del compenso visivo.
connessioni tra parti del corpo e loro rappresentazioni cerebrali, tra un comportamento motorio e una procedura d'integrazione dell'informazione. Insomma, se gli esercizi favoriscono il ridispiegamento sinaptico e la riorganizzazione dei processi alterati, il fatto che si svolgano in situazione d'apprendimento, cioé in una situazione in cui le reti-supporto delle funzioni cerebrali sono completamente mobilizzate (accese, aperte, accessibili) facilita l'iscrizione nella memoria degli schemi motorii che il paziente sto imparando.
Seguendo un percorso pedagogico codificato, di difficoltà e complessità crescenti, gli esercizi sono guidati, all'inizio, dal terapeuta che chiede al malato di rilassare ogni contrazione volontaria e sostiene il membro ricettore, facendogli compiere[1] gli spostamenti necessari all'esplorazione delle superfici e dei contorni. Eppure non si tratta di esercizi “passivi”, dato che il soggetto deve consentire un grande sforzo di concentrazione, d'attenzione, di memoria. In seguito, rinunciando all'aiuto del terapeuta, il paziente riesce a fare i primi movimenti in modo autonomo.

Condividere un territorio, ignorandosi a vicenda.
Qualchessia il canale utilizzato per sollecitare le funzioni cerbrali e attivare i processi di plasticità, gli approcci cognitivi condividono l'obbiettivo (stimolare la plasticità neuronale), la procedura (sollecitare le funzioni cognitive, mettendo il soggetto in condizione d'apprendimento), la tecnica (confrontarlo a problemi la cui soluzione esige che si mobilizzino le funzioni cognitive).
In un lavoro che vorrebbe mettere in evidenza la differenza che separa l'approccio cognitivo dalle pratiche neuromuscolari e deve esprimersi in un linguaggio comprensibile per il "malato qualunque", sarebbe troppo complesso seguire l'evoluzione particolare delle metodiche che si sono sviluppate, al di là della linea di demarcazione che le separa dalle metodiche neuro-muscolari.
Non ci si può che rammaricare che ciascuna di esse abbia seguito la propria evoluzione e persegua il proprio sviluppo senza prestare attenzione al significato delle altre, senza analizzare le possibili convergenze o complementarità neurofisiologiche, senza affrontare il problema dei canali corporei (o parzialmente corporei) che permettono (o no) di entrare in contatto con le funzioni cerebrali, senza ricercare a quali andicap possano convenire.
L'istituzione d'una categoria che le accomuna, oltre ad assere un elemento d'apertura, darebbe, senz'altro più forza all'assieme di terapie che condividono l'ambito del paradigma cognitivo, redendo più credibile il loro messaggio divulgativo, evitando che possa essere interpretato come l'ennesima pubblicità par una scuola particolare. Senza contare che la loro indifferenza reciproca costituisce una difficoltà supplementare per il malato alla ricerca di soluzioni.

La volgarizzazione delle associazioni di malati.
Una constatazione, insomma, s'imponeva : il pessimismo rassegnato che ci era stato proposto alla diagnosi, era contraddetto dall'esistenza di diverse proposte terapeutiche, riferite a un paradigma, via via, consolidato dalle conquiste della neurofisiologia. Molte fonti autorevoli (Università, Istituti di Ricerca, tesi accademiche, libri, congressi, insegnamenti nei corsi di laurea del personale sanitario, pratiche professionali d'un certo numero di operatori, sia in privato che in istituzione) confermavano che la plasticità neuronale costituisce effettivamente una proprietà intrinseca del SNC che può esser stimolata deliberatamente e che l'attivazione delle facoltà cognitive del soggetto può permettergli di restaurare la circuiteria cerebrale, minimizzando i deficit di diversi tipi di lesione.
Ci si può domandare, allora, come mai, la letteratura di volgarizzazione pubblicata dalle associazioni di malati[2] che dedica tanto spazio ad ogni ipotesi genetica e faramacologica, ignori accuratamente l'approccio cognitivo della riabilitazione.
Infatti, oltre alle problematiche associative e socio-culturali, volte ad illustrare i diritti dei malati, a far conoscere la malattia, a rompere l'isolamento, oltre alle spiegazioni relative ai sintomi della malattia, alla sua evoluzione, alla questione dell'eredità genetica (riflesso evidente delle preoccupazioni familiari), questi bollettini dedicano l'essenziale dei loro spazi a render conto delle mille iniziative promosse dai malati per la raccolta di fondi, destinati alla "ricerca scientifica genetico-molecolare, biochimica ed immunologica" e a fornire informazioni sulle ipotesi e i tentativi della ricerca bio-medica, sulla scoperta di nuovi medicinali, sulla problematica genetica e farmacologica[3], nella speranza, a lungo termine, della guarigione[4].



[1] Gli esercizi guidati e sostenuti dal terapeuta servono, anche, a rilassare la spasticità e a frenare le contrazioni dei gruppi muscolari che non sono direttamente implicati (irradiazione).
[2] Tra cui, in Francia : Connaître les syndromes cérébelleux (CSC); Association Française de l'Ataxie de Friedreich (AFAF); Association Strümpell Lorrain PSH (ASL); Association de recherche ataxie-télangiectasie (APRAT); Association Française sclérose en plaques (SEP); in Italia : Associazione Italiana Atassie Congenite (AISJAC) e Associazione Italiana Sindromi Atassiche (AISA) che raggruppa l'assieme delle atassie. Dirette dai malati stessi, queste associazioni sono, generalmente, provviste di comitati scientifici composti da specialisti della neurologia e della genetica, in cui la presenza di riabilitatori è largamente minoritaria.
[3] Tant'é che malati e famiglie sono perfettamente informati sui meccanismi di mutazione di questo o quel gene, sulle anomalie dei mitocondri… sul modo in cui lo "Schizosaccharomyces pombe" riesce a mimare la sindrome d'una atassia spinocerebellare (SCAN1)… come pure sulle molecole testate in tutte le sperimentazioni cliniche nel mondo, e sui loro successi.
[4] "Al CSC, facciamo tutto quel che si può perché il sogno della guarigione diventi realtà".

Si tratta di uno sforzo d'aggiornamento, veramente importante, impegnativo, dettagliato e sostenuto... che però, collegando la lesione solo a fattori genetici e a meccanismi chimico-molecolari, concerne argomenti sui quali malati e famiglie hanno, purtroppo, ben poca presa. Al contrario, i soli accenni alle possibilità di riabilitazione riguardano attività fisioterapiche classiche, volte a contrastare la spasticità, le deformazioni posturali, rinforzare i muscoli, ricuperare le escursioni articolari e propongono pratiche di manutenzione fisica, adatte a conservare le capacità residue, a limitare certe conseguenze, a prevenire le complicazioni, come se si trattasse solo d'aiutare il malato a sopportar meglio la propria deficienza.
Può darsi che ciò sia dovuto al fatto che molte tecniche di riabilitazione sono nate quando queste stimolazioni dirette erano il solo modo d'ottenere, dall'esterno, delle modificazioni motorie, grazie all'armamentario classico di stiramenti, esercizi forza/resistenza, massaggi e manipolazione di pesi, prima che si scoprisse la complessità e l'importanza dei processi cognitivi, prima che si capisse che ogni movimento dei muscoli é programmato dal cervello, in base all'interpretazione delle informazioni ricevute dal corpo.
In ogni modo, non si trova nulla (o quasi nulla) sulle possibilità di riconquista sinaptica e sulle forme di riabilitazione che cercano di stimolare la plasticità dei tessuti del sistema nervoso centrale[1], in modo da riconfigurare i circuiti cerebrali.
Questo silenzio sembra riflettere una rappresentazione essenzialmente neuromuscolare della malattia, molto più attenta alle difficoltà motorie e ai disordini negli impulsi nervosi diretti ai muscoli, che alla qualità e alla quantità delle informazioni ascendenti e ai processi cognitivi che ne permettono l'interpretazione, l'integrazione e l'utilizzazione. La cosa é comprensibile, dato che i disordini motorii sono ciò che é più direttamente osservabile, che si impone all'attenzione dei malati e delle famiglie, nutrendone l'angoscia.
Cionondimeno, ci si può chiedere se l'importanza attribuita gli impulsi motorii non conduca a trascurare il ruolo delle informazioni trasmesse dal corpo e l'importanza dei processi cognitivi che le utilizzano per costruire il movimento. Ci si può chiedere se questa rappresentazione lineare e monodirezionale della malattia non contribuisca a lasciar nell'ombra le prospettive di riabilitazione, di compensazione, di rigenerazione offerte dalle strategie che cercano di sfruttare le potenzialità della plasticità neuronale, se non contribuisca a far sì che siano poco utilizzate, limitando il numero delle sperimentazioni, soprattutto cliniche[2], di ricupero neuronale, ostacolando –così- l'accumularsi delle conoscenze e aprendo la strada a quell'inaccettabile "non c'é nulla da fare".
Và da sé che, nel caso di disabilità complesse e soprattutto di lesioni degenerative, nemmeno gli approcci cognitivi potranno ostacolare il declino dovuto alla progressione delle lesioni. Anche se si trattasse di riconquiste, provvisorie, anche se, in fin dei conti, l'evoluzione della patologia finirà per imporsi, il corso della malattia é, spesso, molto lento, la degenerescenza (che, spesso, non compromette le capacità intellettuali), ha bisogno di parecchi anni, spesso di decenni, per compiere la sua opera. Perché mai si dovrebbe rinunciare a utilizzare il tempo disponibile per una riabilitazione di riconquista, tesa alla ricostituzione (parziale, probabilmente) delle reti sinaptiche e capace di rallentare il processo degenerativo e di migliorare le performances del paziente? Perché mai far pesare sull'approccio cognitivo un'obbiezione di precarietà che pesa, comunque, su qualsiasi altra forma di riabilitazione, compresa la conservazione delle ampiezze articolari o della forza dei muscoli ?
Certo, dare spazio alle potenzialità della plasticità neuronale e alla reversibilità della lesione (dove la partecipazione e la determinazione del malato possono avere molta importanza) potrebbe generare illusioni pericolose, ma l'illustrazione delle strategie di ricerca farmacologico-biogenetica non comporta, forse, un rischio altrettanto grande ?
A meno di pensare, senza volerlo dichiarare, senza volerlo confessare, che ricuperare delle funzioni e riattivare dei circuiti che, in ogni modo, saranno degradati, un giorno o l'altro, dall'avanzar del male, sarebbe come "costruire sulla sabbia" : un investimento che  "non vale la pena" di consentire.

La difficoltà ad ottenere informazioni indebolisce il desiderio di migliorare.
Il mio periplo auto-formativo mi aveva confermato l'esistenza e la serietà di metodi di riabilitazione che si prefiggono di stimolare la neuroplasticità del SNC, rivolgendosi alle facoltà cognitive del soggetto... permettendomi, anche, di capire quale profilo d'operatore dovessi cercare, localizzandolo sul territorio. Ho dovuto constatare che ciò non era sufficiente e che bisognava, inoltre, tradurre le informazioni sul funzionamento cerebrale, sulla natura della patologia e sulle possibilità di ricupero, in un linguaggio che le rendesse plausibili e accessibili a un interlocutore il cui rapporto con la malattia era stato inaugurato da quel

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POST PIU VECCHI


[1] A dire il vero, il bollettino del CSC pubblica due articoli di O.N. Gilles che descrivono la proposta di cui si é parlato in questa presentazione. Tuttavia, questo contributo –portatore di speranza- é stranamente rinchiuso in una sezione del bollettino accessibile solo ai membri dell'associazione che dispongono d'un conto, d'un login e d'un password. Da parte sua, il manuale del paziente atassico, pubblicato dall'AISA, si limita a un laconico accenno al metodo Perfetti, presentato come una tecnica neuromuscolare.
[2] Confermando l'inchiesta che ho condotto negli ambienti della riabilitazione (vedi <http://gp29.net/?p=1669>).