venerdì 17 febbraio 2012

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Sentieri di riabilitazione cognitiva
Mai dire: "Non c'é nulla da fare"!

I saperi clinici, la Neurologia e la Medecina Riabilitativa,
continuano a utilizzare metodi superati, costosi e poco efficaci.
É una tragedia che rinchiude molti ammalati nel loro handicap.
                                                                  Paul BACH-Y-RITA

Benché completamente ignaro di cose mediche, ho dovuto interessarmi alle lesioni cerebrali a causa della malattia d'un fratello. Nel 1997, a 59 anni, ha avuto i primi disturbi nel camminare; il suo medico di base ha decretato che beveva di nascosto e l'ha spedito, più volte, a fare delle cure di disintossicazione, in una grande clinica, dove, senza chiedergli nulla, l'hanno curato per un male di cui non soffriva. Poi, nel 2005, una caduta in motorino con un ematoma cerebrale (risolto grazie a una chirurgia decompressiva), ha imposto degli esami neurologici approfonditi. Le immagini cerebrali, realizzate all'Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, hanno messo in evidenza un'atrofia del cervelletto, del tronco e del ponte encefalico; l'analisi genetica ha concluso diagnosticando una malattia neurodegenerativa rara (atassia spinocerebellare, autosomica dominante SCA1)... Immediatamente, la prima cosa che gli é stata detta, da subito, é che si trattava d'una malattia incurabile, che avrebbe reso sempre più difficile il controllo della muscolatura volontaria (mani, gambe, deglutizione, articolazione della parola e, perfino, respirazione) … e che, salvo qualche ricaduta della ricerca genetico-farmacologica, "non c'era nulla da fare", se non conservare la forza muscolare e le ampiezze articolari, facendo della riabilitazione fisica.

Nel 2009, i medici, neurogenetisti, che lo seguono mi hanno confermato l'inesistenza di misure terapeutiche, consigliandomi fermamente di "abituarlo" alla carrozzina a rotelle, in modo da evitare le cadute.
Mi é sembrato tanto più difficile accontentarmi di questo fatalismo rassegnato, che avevo appena visto, su ARTE TV[1], un documentario in cui certi specialisti d'avanguardia mostravano non solo che le aree cerebrali, molto meno rigidamente specializzate di quanto si credesse, costituiscono un sistema flessibile di zone interconnesse, capaci di sostituirsi l'un l'altra, ma anche che certi metodi di riabilitazione, riescono a sfruttare la neuroplasticità del Sistema Nervoso Centrale, per stimolare e guidare la riorganizzazione delle connessioni cerebrali, facendo appello alle facoltà cognitive del paziente e ottenendo il restauro (più o meno completo, più o meno definitivo) di certe funzioni.
Naturalmente, ho cercato di saperne di più su queste strategie riabilitatrici che si potrebbero definire "di riconquista", prima di tutto, per capire se fossero considerate terapeuticamente valide o meno.
In primo luogo, ho consultato le pubblicazioni e i siti delle associazioni di malati, trovandoli incomprensibilmente silenziosi su queste prospettive e sull'esistenza stessa dell'approccio cognitivo.
Ho tentato, allora, di rivolgermi agli specialisti della riabilitazione, sia medici che operatori sanitari che ho potuto identificare : a mia sorpresa (e lasciando da parte coloro che mi hanno messo in guardia contro "certe tecniche promosse a scopo lucrativo, senza validazione scientifica"), il mondo della clinica e della riabilitazione si é mostrato, nell'assieme, poco interessato dalle mie domande[2]. Molti non ne hanno mai sentito parlare; altri mi hanno risposto : "esercitando nel campo della Medicina Fisica di Riabilitazione, non conosco queste terapie", come se le proposte del documentario non facessero parte della MFR. In ogni modo, non ho trovato nessuno per confermare o invalidare quelle pratiche, né per discuterle, né per dirmi in quali handicap potrebbero rivelarsi utili.
La mia perplessità era rinforzata dalle testimonianze che mi venivano sia dal mondo della ricerca scentifica, che da quello dei fisioterapisti : "Basandomi sui miei lavori e sulle evidenze della letteratura scientifica e clinica, sono convinto che, nei suoi programmi di riabilitazione funzionale, la clinica sottovaluta le potenzialità della neuroplasticità cerebro-spinale" (Christian Xerri, direttore del Laboratoire de Neurosciences Intégratives et Adaptatives, Université de Provence). "Se la professione resta tanto indifferente a certi metodi e a certe pratiche, ciò dipende dal fatto che, quando é salariato, il terapeuta, sprovvisto di riconoscimento universitario, deve ubbidire ad un potere medico pesante, supremo e incontestabile... mentre, quando esercita in liberale, deve attenersi ad una nomenclatura degli atti che lo dissuade da investire nel sapere neurologico" (Serge Mésure, Presidente delle Journées Francophones de Kinésithérapie, 2011). "Medici e terapeuti preferiscono mantenere la patologia al livello dei muscoli e rifiutano di farla risalire al cervello… altrimenti, non avendo le competenze


[1] Mike Sheerin «Les étonnants pouvoirs de transformation du cerveau», tratto dal libro di Norman Doidge "Il cervello infinito" Ponte alle Grazie, 2007 che ritraccia i lavori dell'équipe «Tactile Communication & Neurorehabilitation Laboratory»  (TCNL, Université du Wisconsin-Madison) del Professor Paul Bach-y-Rita, di Barbara Arrowsmith Young, di Mike Merzenich, di Edouard Taub, di V.S. Rhamachandran e di Jordan Graffmann.
[2] http://gp29.net/?p=1669

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